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Origine del senso comune: il cliente ha sempre ragione

Questo assioma ripetuto come un mantra nei luoghi di lavoro per avvertire di non proseguire nei pur rari e timidi tentativi di insubordinazione operativa esemplifica al meglio uno dei modi con cui è realizzata la fase egemonica (quella che si occupa degli aspetti culturali ed etici propedeutici all’azione economica) di un gruppo sociale divenuto dominante ovvero diventato stato. Per comprenderlo è necessario abbandonare l’interpretazione immediata del motto valida ad esempio negli stati uniti – la cui società civile non essendo gravata dalle rendite economiche dovute alle sedimentazioni passate di potere parassitario (chiamate in europa tradizione) favorisce l’ascesa del consumatore al centro dei rapporti formali e giuridici venutisi a creare nella forma razionalizzata dell’industria produttrice di beni su vasta scala – ed esaminare nelle aziende quale estrazione sociale faccia storicamente da riferimento nel mercato del lavoro per riempire di personale i ruoli con funzioni da cliente e quelli da venditore così da dare un significato concreto alle conseguenze implicite nella retorica concessione della ragione permanente.

Innanzitutto sostenere che il cliente abbia sempre ragione nonostante sia ridicolo ottiene due effetti principali: il primo è quello di esaltare il ruolo della razionalità come elemento a garanzia della storia in atto con l’obiettivo di portare le persone a porsi in rapporto dogmatico con la situazione circostante in modo che non elaborino peccaminose azioni di alterazione ciò che vuol dire non si permettano di supporre sia possibile edificare una realtà migliore di quella preparata dal capitale; il secondo è quello di replicare all’interno dell’azienda la sudditanza servile che si concede in economia a chi compra – principio che chiunque può verificare essere solamente strumentale prestando attenzione alle reali politiche dei prezzi, dei rimborsi, dei resi, delle offerte, delle esenzioni e delle tutele offerte ai consumatori domestici – in un modo che i rapporti umani si allontanino dal tipo orizzontale-collaborativo per avvicinarsi a quello verticale-esecutivo tanto caro alla burocrazia civile parente stretta di quella militare proprio per l’estrazione sociale di provenienza. In sostanza facendo leva sul capitale si riproduce un ambiente lavorativo nel quale non è ammessa alcuna critica (se non per formale diritto di parola) efficente sulle direttive provenienti dai compratori – sia nel senso diretto del termine che scelgono cioè da chi rifornirsi per materiali o servizi esterni necessari alla produzione (con conseguente allumacamento dei fornitori), che in quello indiretto o di funzione equivalente quando cioè dispongono di capitale aziendale (il cosiddetto cliente interno) da spendere per attività non immediatamente riconducibili alla produzione o più semplicemente sono titolari di commesse sulle quali imputare le ore di forza lavoro – i quali possono così assumere il ruolo di mecenati posti a tutela della razionalità di ciò che deve essere eseguito asetticamente perchè espressione della volontà fantoccio del mercato.

Ma a parte il fatto che dirigere cose e persone non equivale a soddisfare i capricci del committente è quantomeno sospetto che un tale modo di impostare la questione fuoriesca da quegli ambienti che preventivamente le proprietà aziendali hanno provveduto a riempire con specifiche risorse in modo da difendere indifferentemente da qualsiasi altra condizione la stratificazione sociale già operante nella struttura economica e che sono organizzati in una maniera tale per cui la forza lavoro priva di appoggio politico-economico od estetico è impiegata in ruoli gravitanti attorno alla vendita, mentre quella imparentata o importante per rapporti strategici di consorteria attorno agli acquisti.

L’egemonia del gruppo sociale dominante (con ciò che ne consegue a livello di vita individuale) è in questo modo tutelata senza soluzione di continuità in quanto grazie al significato concreto dato dall’approccio culturale sintetizzato dal motto in esame essa ha campo libero nel continuare ad esercitare il potere al riparo da critiche che confrontino la teoria con la pratica, l’adeguatezza dei mezzi ai fini preposti, l’efficacia delle politiche sulla realtà organizzata per il fatto di essere cliente ovvero per il fatto di essere capitale ovvero per il fatto di essere Stato, creando così quel circolo vizioso di ricchezza-povertà, dominanza-subordinazione che solo una crisi imponente scatenata da più fattori concomitanti puo rompere e non certo la passività di persone divise e disorganizzate gia solo per comprendere la questione.

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