Com’è possibile essere perlopiù certi che un gruppo di persone, una società, una nazione è perlopiù composta da emeriti imbecilli?
Tra le caratteristiche più spiccate di questo fenomeno risiede senza alcun dubbio per chi governa – che esercita almeno a parole un ruolo direttivo nella divisione del lavoro – la propensione in politica economica a proteggere l’emotività estetica a discapito della razionalità etica violando così il primo principio di economia critica (ricercato in altre note) cosa che fa comprendere come la classe dirigente stia operando in maniera irrazionale con un mezzo politico non adeguato se non proprio contrario al fine economico (lo sviluppo nazionale); per chi è governato invece – che nella divisione del lavoro ha un ruolo esecutivo, e questa volta non a parole – vi è l’imitare nel modo proprio dei pappagalli ammaestrati le frasi, le osservazioni, i vocaboli e i modi di fare di chi governa (esprimendo così il proprio consenso al modo di condurre le cose) senza avere coscenza dello scopo egemonico a cui tende l’educazione e senza aver criticato lo strumento estetico come inadatto allo sviluppo nazionale e popolare. Di entrambe le tipologie basta uscire di casa per trovarne esempi si diceva un tempo, ma oggi non è più necessario perchè ci pensa il giornalismo (o la cultura giornalistica) a entravi grazie alle televisioni e ad internet.
Un altro modo di porre la medesima quistione consiste nella manifestazione di sè in modo socialmente conforme. Ovvero, il desiderio di apparire educato allo stile, ai modi e alle regole di condotta della classe dirigente – ciò che può intendersi come l’essere conformi alla cultura del momento storico in atto – se è strategico per chi proviene da ambienti tradizionalmente amministrativi, non è comprensibile (o lo è solo relativamente alle necessità di sopravvivenza) per chi appartiene invece all’insieme delle masse governate per il fatto che replicando meccanicamente e acriticamente il sistema etico imposto dai governanti è impossibile che il governato esca dal suo stato di subalternità sia fisica che psichica (o morale, o politica, in pratica filosofica). Ovvero il subalterno che rinuncia senza altri termini allo sviluppo di una cultura individuale o che in altre parole evita di criticare realmente la società in cui vive non sviluppando una frazione di personalità che sia contraria ai moti incarnati dalle maschere convenzionali è indubbiamente un imbecille perchè sta favorendo alla massima potenza ciò che egli non è ovvero un governante e sta costruendo la strada affinchè egli rimanga per sempre ciò che è ovvero un governato. Che poi un governato desideri rimanere tale a vita è materia buona per le sagrestie sia religiose che laiche di cui la penisola è disseminata.
Altro modo di mostrarsi completamente imbecilli mi pare nel momento della valutazione dei fatti su base individuale (al tirar delle somme) sia quello di cadere tra le grandi braccia della maga alcida questa volta travestitasi coi panni della felicità comune – il mantra delle religioni e quindi anche dello stato borghese liberale capitolato innanzi alla religione già a partire dalla sua entrata in scena coi vari concordati siglati dall’unità in poi – quando questa felicità riguarda una comunità di cui non si fa parte se non a parole sui giornali, nelle tv o nelle email aziendali. Anche di questo tipo di eventi ci sono ampi esempi quotidiani.
Altro esempio di patriottismo è quello del così detto perdersi in un bicchier d’acqua, e anche di ciò si può pescare a piene mani quotidianamente nel campo dell’eccellenza italiana (ovvero la traduzione in linguaggio governativo del pressapochismo servile), il quale consiste di fronte a problemi complessi o relativamente più complessi del normale e che quindi per essere risolti necessitano di individuare la così detta chiave di volta si vada ad affrontare tutta una serie di questioni secondarie e parziali (specialità della comunicazione e dell’emotività estetica) di nullo o scarso impatto reale con la convinzione che questo modo di affrontare la quistione per una sorta di fiducia nelle finalità del creato sia in grado di assestare un colpo decisivo nella risoluzione del problema (non accadeva nello studio di funzioni o negli integrali per esempio non accade nemmeno nei problemi della vita lavorativa). I completamente imbecilli inoltre osservando questi fatti sia direttamente coi loro occhi che indirettamente attraverso quelli della propaganda non solo li pubblicizzano ma condividono anche l’esigenza che i protagonisti vengano promossi per merito a ruoli organizzativi per poi successivamente eseguirne pure le direttive.
Anche la preponderanza nella società civile di esperti e professionisti che spiegano, raccontano, suggeriscono (controbilanciati da elementi che ascoltano, seguono ed eseguono) è sicuramente un segno di accerchiamento da parte di imbecilli. Innanzitutto i maestri veri non sono certo coloro i quali sono pieni di risposte ma piuttosto e bensì sono quelli che strabordano di domande; per apprezzare questo diverso approccio nel raggiungimento di un certo grado di conoscenza è fondamentale abbandonare il tipo di cultura di derivazione positivista ovviamente introdotta dal mondo liberale a giustificazione della propia bulimia materiale la quale fa affermazioni perentorie di esattezza (positive) nella ricerca del vero e non va invece per esclusione elimando dall’insieme delle probabilità quelle meno realistiche (negative) date le speciali condizioni poste in essere. In questa diversa filosofia, che pare l’unica esercitabile per la crescita culturale delle persone, il maestro o l’esperto non è quello che da risposte definitive e dottrinarie ma è colui che aiuta ad elaborare un metodo per porsi domande dalle quali progressivamente emerga con chiarezza l’insieme delle cause più e meno probabili per gli effetti in esame, un processo di estrapolazione delle risposte possibile solo se le domande sono poste con una successione di intensità crescente verso il cuore del problema esaminato. Quanti esempi troviamo di questo secondo tipo di maestri? Ecco una domanda che contiene in sè già la risposta. In secondo luogo questi esperti o non sanno di essere davanti ad una platea di idioti – per il fatto che sono lì ad usufruire dell’oratoria o del gionalismo positivista come strumento di conoscenza e d’istruzione – ricadendo così nell’insieme stesso, oppure se lo sanno ci sono due casi: nel primo non si capisce perchè dovrebbero spendere energie per chi non può comprendere, nel secondo va supposto allora che gli oratori stiano performando per interesse immediato ripetendo frasi e concetti che essi sanno fanno piacere ai padroni e quindi l’imbecillità va spostata di un livello ovvero in quelli che sperano che a furia di essere ripetuti come un mantra taluni concetti alle masse queste si spingano spontaneamente all’azione senza il bisogno della coercizione giuridica e poliziesca.
Tanti altri modi di essere deficenti devono esistere e andranno notati, ma perlopiù rimane impresso il fatto che come per la famigila esiste un unico modo di mostrarsi felice e infiniti per mostrarsi infelice probabilmente sulla scia dell’osservazione di tolstoj è possibile affermare che esistano infiniti modi per gli uomini di mostrarsi imbecilli e solo uno di apparire intelligenti. Quale sia a questo punto tale modo è domanda alla quale l’umanità sta provarando a dar risposta attraverso la sua storia.