Appreso dunque con i metodi della prassi storicista che i confini nazionali sociologicamente non sono altro che la formalizzazione del limite geografico entro il quale lo sfruttamento dei poveri di un’area non porta a conseguenze catastrofiche (tipo bastiglia 89 o pietrogrado 17), la guerra si configura conseguentemente come il tentativo dei ricchi di attenuare la caduta tendenziale del saggio di profitto attraverso l’esternalizzazione su masse diverse da quella autocotona (per limiti di sopportazione già raggiunti) dell’azione risolutiva richiesta dal livello di pressione raggiunto così da entrare in conflitto con le medesime mire egemoniche dei ricchi di un’altra area.
Posta così la questione è corretto definire come intelligente l’atteggiamento culturale da parte dei poveri in tempo di pace che difendono ed esaltano i motti, le espressioni e le celebrazioni a sostegno dei confini nazionali?
Come già espresso in altra nota la risposta è già dentro la domanda stessa.