E’ poi mai così strano che, avendo la società industriale posto la massa di necessità imprescindibili (cibo, acqua, riparo e cura della persona) in garanzia relativa e sublimato la tensione all’espansione economica nella ricerca del bello, ciò che in altre parole può intendersi come l’aver posto nell’aderenza a questo fine la razionalità o meno dei comportamenti sociali, qualunque esteta – ovvero non tanto colui o colei la quale sappia esprimere classicamente il momento di rielaborazione artistica, bensì chiunque riesca a cavalcare l’onda emotiva di questa nuova finalità per attirare impressioni positive o con l’aiuto di giudizi passionali ed interessati oppure attraverso la suggestione che il nesso proprietà/autorità attiva nelle persone subalterne al potere – abbia preso coscienza della propria forza e dell’altrui debolezza per imporre nuove norme di condotta? (E’ ciò storicamente in italia lo si intenda a partire dagli anni 80 con una prima manifestazione soffice in reazione alla strategia della tensione dei 70 per poi esplodere come movimento consapevole nei 90 attraverso il berlusconismo per mezzo del quale le faccende di libido fino a quel momento confinate nell’impresa e nella burocrazia privata hanno ottenuto il via libera per quelle a dominio pubblico).
No, non è per nulla strano visto che l’etica non ha fatto altro che operare per ottenere più estetica possibile e adesso che ne è stata soggiogata non può che manovrare una strategia difensiva. Tuttavia nel momento in cui – e siamo ai giorni nostri – l’estetica commetterà l’errore di nascondere gli interessi di casta dietro giudizi moralistici sulla natura dei comportamenti ristabilendo così in un qualche modo il primato dell’etica ecco che quest’ultima nel rapporto dialettico si sentirà nuovamente giustificata storicamente e organizzerà una forza contraria che tenterà di ripristinare l’equilibrio tra i due momenti, ciò che determinerà a sua volta una reazione dell’estetica autoritaria e coercitiva – fatto già saltuariamente osservabile – in quanto l’estetica trovandosi in una situazione per così dire di mercato tale per cui la domanda è qualitativamente – pochi ricchi possono disporre di cifre ingenti per essa – e in un certo senso anche quantitativamente – poichè anche le classi subalterne nonostante non possano permetterselo sono state educate contro il loro interesse a celebrare il bello, ad un qualcosa cioè che per sua natura è contraria a qualsiasi forma di socialità democratica – di molto superiore all’offerta, ciò che fa nascere la sensazione di essere esente da critiche le quali vengono dipinte come vere e proprie eresie, essa non ha la necessità ne ha sviluppato la sensibilità politica per moderare il conflitto allargando i propri quadri in maniera molecolare con elementi etici ma non estetici.
Il problema in tutto questo mi pare sia da ricercare negli interrogativi posti dalle questioni: fino a a che punto possono durare nelle masse popolari gli effetti psicotropi del bello sotto forma di sogno? e qualora esso si realizzi per quanto sono sostenibili i costi dovuti dal suo mantenimento? e ancora nel momento in cui si palesa il fatto che i sacrifici richiesti non sono poi del tutto ripagati dalla sua presenza, asfissiante ed autoritaria per i motivi sopra esposti, esiste poi un modo per evitare le successive reazioni di sconforto e aggressione sia fisica che verbale? Non pare risulti credibile ipotizzare che l’estetica voglia porsi dei quesiti come questi che poi non è in grado di risolvere e in ciò risiede il suo limite storico/politico che ne determinerà il superamento ne più ne meno di come accade per le altre correnti di pensiero.