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L’estetica come forza resistente e restauratrice

Che l’estetica sia una forza volontariamente resistente al cambiamento economico-sociale per l’uscita delle masse popolari dallo stato di subalternità e favorevole all’inasprimento delle condizioni gerarchico-autoritarie fondate sulla proprietà dei mezzi di produzione ci viene indicato dal fatto che la bellezza è assolutamente ciò che di meno democratico possa esistere nel mondo umano assieme alla forza bruta in quanto o se ne è dotati o non se ne è dotati ciò che è valido indifferentemente dal riguardo che è necessario porre rispetto alla relatività storica a cui è soggetto il concetto di bello e che ne determina la mutevolezza espressiva tra un’epoca e l’altra non però oltre certi limiti. Anzi, a differenza della forza bruta che attraverso l’ingegno, l’impegno, l’allenamento o qualsiasi altra azione progressiva può essere o acquisita per far parte del proprio bagaglio di caratteristiche o addirittura sconfitta come ci ricorda il mito di davide, il bello invece non può essere acquisito e non conosce rivali nel suo perimetro d’azione se non il lento ed inesorabile trascorrere del tempo materiale parzialmente frenato dalla chirurgia estetica o dal restauro architettonico.

Ne consegue che il bello trovandosi ad agire in particolari condizioni di mercato nelle quali la domanda è di gran lunga superiore oltre un certo limite fisiologico all’offerta sia quantitativamente (come numero di astanti per esemplare) che qualitativamente (come cifre assolute battute per esso) non possa far altro viste la sua essenza antidemocratica di operare con tutte le sue forze affinchè nulla muti nelle condizioni e che anzi prosieguano nel loro sviluppo in una maniera tale per cui su di esso trovi fondamento una rinnovata gerarchizzazione classista di stampo feudale nella quale la bellezza per diritto naturale sostituisce la proprietà nell’accesso al titolo nobiliare, gli esteti per il fatto di porsi da tramite con il bello prendono il posto del clero e il terzo stato o classe lavorativa rimane quella che è ovvero lo strumento di risoluzione dei costi materiali di produzione che una società di questo tipo esige.

Affinchè però le condizioni attuali di mercato siano diventate tali per cui la domanda è di gran lunga superiore all’offerta oltre un certo limite fisiologico devono per forza di cose essere entrati in scena nella storia dell’umanità alcuni fattori esterni all’intrinseca attrazione del bello che ne hanno favorito l’ascesa. Essi vanno ricercati nel duplice aspetto di struttura economica e sovrastruttura culturale ovvero in ciò che da significato agli ambiti di teoria e pratica. Mi pare che nel campo economico-sociale-politico il fattore principale che ha favorito una tale condizione di mercato consista nella rinnovata alleanza tra proprietari dei mezzi di produzione ed elementi estetici, fatto certamente non nuovo visto che ogni epoca ha celebrato se stessa tramite l’espressione estetica del momento artistico, ma fondato però su nuove condizioni generali nate dalle esigenze di manodopera poste in essere dalle due guerre mondiali per il tramite delle quali in cambio di bellezza si è ceduto progressivamente dapprima l’accesso alla tecnica e successivamente il governo degli elementi produttivi con lo scopo di costruire uno scudo estetico di puro impatto visivo immediato a difesa della decadente autorità industriale impotente di fronte al corso storico montante oltre cortina; mentre nel campo culturale-morale-ideologico il fattore responsabile dovrebbe risiedere nell’introduzione della bellezza come nuova divinità assoluta per il tramite della quale da un lato le direttive, le sentenze e gli obblighi di governo pur se emotive, astratte, passionali e lontane da una minima parvenza di finalità razionale (nel senso di adeguatezza dei mezzi adoperati rispetto ai fini preposti) sono ad ogni modo certe, non criticabili e come tali vanno rispettate senza esitazioni – imponendosi come nuovi dogmi religiosi i quali possono essere solo fideisticamente accolti e gesuiticamente eseguiti – mentre dall’altro si sostituisce all’attività avvocatizia nel caso sia necessario per un subalterno accusato di eresia trovare testimonianza materiale e diretta della sua più generale fedeltà alla causa comune.

Il problema principale di questa situazione è che le masse popolari non capiscono – o meglio non ne colgono immediatamente il senso essendo anestetizzate dall’imbroglio oppiaceo che fornisce la bellezza di stampo televisivo (cioè che appare al momento opportuno e poi scompare per soddisfare la libido di altri) – come sia inevitabilmente contrario al loro interesse economico e sociale supportare anche solo passivamente quando non in maniera attiva questo stato delle cose il quale nella riproposizione restauratrice dell’autorità-proprietà sotto la forma estetica è impossibile che gli sia conveniente in quanto storicamente per le moltitudini l’obiettivo non può che essere sempre e comunque quello di acquisire nuove sacche di potere da sottrarre alle classi divoratrici di risparmio. Al contrario porsi in maniera favorevole a questa situazione che ormai comincia ad avere suppergiù quaranta anni di percorso storico non può che risolversi, come in effetti già da una ventina di anni si può constatare, in un continuo deterioramento delle condizioni prima lavorative poi economiche e infine sociali. Restare inoltre indifferenti verso il fatto che il peso maggiore di questa situazione ricada sulle spalle degli immigrati africani in fuga dalle guerre per procura introdotte dalle classi colonizzatrici bramose di nuova manodopera a basso salario è un altro errore grossolano che le classi lavorative regalano a quelle dirigenti in quanto ciò che accade agli immigrati è lo specchio riflettente le condizioni in dirittura d’arrivo o in scopo per tutti i lavoratori privi di parentela aristocratica, che sono i più nonostante individualmente non lo si voglia ammettere.

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