Secondo l’Oxford English Dictionary, Smuts ha definito l’olismo come: «…la tendenza, in natura, a formare interi che sono più grandi della somma delle parti, attraverso l’evoluzione creativa».
C’è indubbiamente un residuo di metafisica in questo concetto; difatti se quella quota parte che l’evoluzione creativa aggiunge ex novo per formare l’intero non appartiene alla realtà fenomenica, ovvero non si presenta all’uomo nelle forme rilevabili e misurabili con i metodi di osservazione utilizzati perlopiù dalle scienze naturali, o ci troviamo di fronte ad un intero completo solo per i mediatori religiosi (gli unici secondo la dottrina in grado di cogliere entità immateriali) e spurio per gli altri, oppure l’evoluzione creativa rappresenta il tentativo attuale di reagire al centralismo democratico giustificato culturalmente dalla legge di conservazione (della massa, dell’energia, del moto, della carica elettrica) per la quale nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma. In altre parole esprime l’esigenza politica di lottare affinchè sia riaffermata l’esistenza di poteri magici la familiarità dei quali è decisiva per assumere un ruolo di governante e non di governato.
Con ciò ben chiaro, va considerato anche che un quid eccedente la somma delle parti non è esclusivamente un artificio retorico con il quale parolai di corte si agitano per conservare lo status quo, ma è stato notato apparire nel sistema di fabbrica dove compaiono quote di produzione materiale che non è possibile ascrivere al singolo operaio, ma che grazie all’organizzazione (o razionalizzazione) vanno imputati all’intero reparto essendosi la quantità evoluta in qualità nell’organismo collettivo. Una tale tendenza è però individuabile solamente a partire dalla rivoluzione industriale, ciò che per essere inteso nell’evoluzione creativa implica una storicità del concetto di natura (mutante assieme alle condizioni e conoscenze umane) che non pare sottointesa nella definizione di Smuts.